giovedì 15 settembre 2016

Suits: l'Età è un'Opinione....

Pensavo di parlare di "Sherlock", ma, dopo il magnifico e plumbeo tuffo nella mia personale première di "Penny Dreadful", mi ha punto vaghezza di un sano ca**eggio. Dalla ambigua e inquietante Londra ricreata a Dublino di "Penny Dreadful" alla New York inventata a Toronto di "Suits". Doppio salto mortale carpiato... con spanzata. Una toccata e fuga. Non vorrei essere fraintesa: ho incominciato a seguire "Suits" (sempre saltabeccando di stagione in stagione), e se non ci trovassi qualcosa di buono e/o divertente non lo farei. Ma il salto è davvero mortale.

Poche precisazioni:
1) Non sono mai stata fanatica di niente e di nessuno, manco a dodici anni. Il che mi porta ad essere flagellata da chi è portato ad esserlo, ma mi consente una certa libertà di giudizio, e, credo, la possibilità di godermi una serie, un film, un telefilm in tutte le sue sfaccettature.
2) Tollero tutto, ma non la retorica e la stupidità (strettamente legate). Perfino nelle serie televisive.
3) Un piccolo Goya che è in me vede il grottesco anche in una semplice scivolata di gusto.

Ciò detto, e crollando dalle vette di "Penny Dreadful" agli scantinati (patinati) di "Suits" - che approfondirò in un altro momento - giochicchio un po'.
Passiamo da una serie lussuosa (e costosa), con un ottimo cast e una bella scrittura, ad una serie-fai-da-te. Tutto in economia. E si vede. Violata la regola aurea delle tre stagioni che avrebbe potuto salvarla, si avvia verso il destino triste e baro delle serie inutilmente e vacuamente prolisse, strizzate, allungate, sbrodolate. Massimo risultato (economico) con il minimo sforzo (produttivo e di scrittura). Né può contare sul materiale umano, ovvero, gli interpreti. Una mostra canina.
Voglio dire, GiAssica (Jessica, ovvero Gina Torres) l'imperdibile boss dello studio-show room idealmente collocato a New York viene da Xena - Principessa guerriera e Hercules. Per dire. Sfoggia due-espressioni-due da sei stagioni e una non appartiene al suo viso. Il massimo apporto alla serie sono le sue sfilate per gli irreali, infiniti corridoi di un uno studio irreale sculettando ritmicamente (destr-sinistr, sinistre-destr...). Un pezzone di carne su tacco 12 perennemente strizzata in vestitini assassini, che manco una escort a una cena "elegante". Credo sia sulla cinquantina, ma in questa serie in particolare (non è la sola, eh?) l'età, l'effettiva corrispondenza tra età dell'attore e quella del personaggio, e verosimglianza sono proprio opzionali. Con grottesche ricadute. Parliamone.
Le grottesche ricadute sono dovute, in gran parte, all'inutile (per lo spettatore, non per le tasche della produzione) allungamento della serie. E vi spiego perché.
Il "bello e impossibile" di "Suits", Harvey Specter, è Gabriel Macht. Chi è? Diranno i miei piccoli lettori. A saperlo! Un prestante giovanotto di belle speranze, mi son detta, dopo una prima occhiata. E' Nessuno. Ma proprio nessuno. E non è un giovanotto. E' sui quarantacinque. Figlio di un altro nessuno, uno che, per tutta la sua vita professionale, entrava e usciva, mai da protagonista, da episodi di Matlock, Colombo, e affini. (E, naturalmente, giacché il sangue non è acqua, gli hanno regalato una partecipazione anche a "Suits").
In realtà, Gabriel Macht interpreta - fatti due conti - il trentacinquenne, arrembante avvocato, socio del pregiato studiato Pearson, Specter&Litt. Lui di espressioni ne ha almeno tre (e il didietro non conta, nel suo caso), una seria, una seria ed inca**ata, una sorniona. Punto. Per essere completamente onesta, devo precisare che la sua voce e la conseguente interpretazione sono un po' meglio del doppiatore che gli hanno affibbiato, uno che, evidentemente, viene dal doppiaggio di manga e spot. Sui quarantacinque anni è anche la sua segretaria (ho già sulla punta delle dita un post su di lei), tale Donna (Sarah Rafferty). Roscia con una espressione. Ma non è colpa sua. Hanno tolto dieci anni anche a lei. E saranno andati giù di brutto con il botox perché ha il viso spianato come una camicia stirata con vaporella, dagli occhi al labbro superiore compreso è paralizzata (se è colpa di una qualche paresi di cui non ho notizia, chiedo scusa per la gaffe in buona fede). Purtroppo, la gola (da tacchino) è traditrice, così come le ciccette flaccide che si affacciano crudelmente dagli abitini strizzati (avete presente quelle piegoline frollate... ?) e le restituiscono i dieci anni più gli interessi. E non l'aiutano le solite sfilate a tacco battente per i soliti corridoi vestita come una clandestina cubana che ha fatto i soldi. Quando le levano ulteriori dieci anni per un flashback, se la cavano mettendole una frangia da badante rumena sulla fronte (con tutto il rispetto per le badanti rumene). Nè la salva il pedigree (in fondo, famose attrici del nostro teatro interpretavano "Scampolo" a sessant'anni). L'ultima imperdibile interpretazione di cui ho notizia è una comparsata con due battute in un episodio di "Bones", in cui, già sui quaranta, nei panni di una piazzista di case e con la solita còfana roscia cotonata, arricciolata e fissata con la fiamma ossidrica, allunga una bomboletta di lacca a Bones per evitare che una mano di cenere si dissolva. Ma è amica di Macht dai tempi della scuola (?) e, visto l'esempio di papi, mi sa che ha ricevuto la grazia. Intanto, il tempo passa, una stagione segue l'altra, e il povero Macht, color cremisi e sempre più imbolsito, rischia l'ictus con i colletti strizzati dei suoi completini ingessati da "giovanottone rampante".
Chi ha davvero trentacinque anni è Mike, Patrick J. Adams, il non-avvocatino co-protagonista. Naturalmente, sempre fatti i due soliti conticini, è sui venticinque nella serie. E anche a lui, la lunghezza dell'avventura non fa bene. Il faccino da ragazzino alla Frodo si sta intarchiando e la stempiatura avanza. Ed è un peccato, perché, insieme al mio amato Louis, Rick Hoffman (l'unico, vero motivo per seguire "Suits", il riscatto attoriale e di scrittura di "Suits"), ma a grande distanza, è l'unico che sfoggia una relativa padronanza sia del personaggio che della sua espressività.




Poi, non è colpa sua se "lo disegnano così". E, invece di sacrificarlo nella più insulsa relazione di tutti i tempi televisivi con l'insulsa Rachel (Meghan Markle, anche lei venticinquenne di trentacinque anni!), lo avrei visto benissimo in qualche stuzzicante sfida amoroso-giuridica con la sua coetanea Dana Scott (Abigail Spencer), l'unica penalizzata da queste sforbiciate generazionali.




Sì, perché a lei, e a lei soltanto, di fatto, hanno lasciato la sua vera età, e, di conseguenza, se la matematica non è un'opinione e tanto mi dà tanto, dieci anni glieli hanno aggiunti, facendole interpretare una collega di studi del quarantacinquenne Macht dei tempi di Harvard. Più o meno coetanea anche dell'attempata Donna, quindi. Burp!

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